La maggioranza delle persone che pensa di avere un problema di salute si trova in una situazione di grande incertezza. La prima domanda che sorge è: sarà grave oppure no? Dalla risposta a questa domanda derivano buona parte dei comportamenti successivi.
L’incertezza, si sa, è fonte di ansia e ciascuno, per ridurla, tende a darsi una risposta e ad averne altre, nella speranza che quest’ultime confermino o smentiscano rispettivamente il proprio ottimismo o pessimismo. Naturalmente le risposte più attese sono quelle provenienti da medici ma non vengono trascurate quelle di amici e conoscenti, che comunque concorrono alla formazione del quadro generale nel quale si inseriranno quelle mediche. Anzi, spesso i secondi anticipano i primi con pareri e suggerimenti che influenzano le scelte successive, come quella del medico a cui rivolgersi o il tempo per farlo.
Fabrizio – della provincia di Venezia – ci ha raccontato che, dopo essersi accorto di una macchia comparsa sulla testa, ha chiesto il parere di amici e colleghi di lavoro i quali, in base alla propria esperienza, lo hanno rassicurato dicendogli che si trattava di una macchia dovuta al sole. Fabrizio avrebbe potuto dar retta a questi pareri e tranquillizzarsi ma, evidentemente, la sua ansia eccedeva queste rassicurazioni e ha deciso di rivolgersi ad un medico. E non al suo medico di famiglia, bensì ad un altro perché: “..era il più semplice e veloce da raggiungere ed abbiamo una certa confidenza”. La rapidità di accesso al sistema di cura diventa quindi un fattore determinante quando si è ansiosi di avere una risposta e una relazione confidenziale consente di accelerare, eventualmente, i tempi. Ma torniamo all’ansia da cui siamo partiti. Non basta avere una risposta rapida sulla gravità del problema, occorre che essa sia la stessa pur provenendo da medici diversi.
Benché questa dovrebbe essere la regola, in realtà tale condizione non si verifica tanto frequentemente, come ben sanno coloro che si rivolgono a più medici per vedere confermata una diagnosi o una terapia. Ce lo conferma la testimonianza di Fabrizio: “..sono andato dalla mia dottoressa di base, che mi ha fatto un’impegnativa per visita dermatologica, dicendomi di non preoccuparmi”, mentre dal dermatologo ottiene tutt’altra risposta: “..ha detto che l’unica cosa da fare era intervenire chirurgicamente e immediatamente” con l’ovvio risultato di gettarlo nello sconforto: “.. sono uscito dalla visita molto preoccupato”.
Infine il nostro amico riesce ad arrivare nelle mani di un chirurgo perché gli asporti definitivamente la causa della sua ansia, che sia o no di natura maligna. La sua decisione è stata strettamente personale, individuale, non si è potuta basare su pareri concordanti ma solo sui propri convincimenti e sulla volontà di porre fine all’incertezza della situazione. Altri piuttosto che affrontare il bisturi magari si sarebbero fatti convincere dalle rassicurazioni sull’innocuità della massa cutanea. Lo stesso chirurgo non aveva saputo sciogliere i dubbi circa la natura della macchia ma come è inutile chiedere ad un oste se il vino è buono così non è possibile chiedere ad un chirurgo di rinunciare a tagliare.
Questa storia si è conclusa bene per Fabrizio, come lui stesso racconta: “..alla fine il mio caso è stato fortunato poiché il tumore era benigno”, ma restano gli interrogativi e le perplessità sulla capacità del sistema sanitario e dei suoi principali operatori di accogliere sollecitamente le richieste di cura e di avviare con facilità i processi diagnostici e terapeutici. La sensazione diffusa è che, alla fine della fiera, il paziente basi le sue scelte terapeutiche o comportamentali più che altro sulle proprie conoscenze, convinzioni o sensibilità – come la fede nella scienza e il fatalismo – oppure sulla fiducia personale.
Qual è il vostro parere? Avete esperienze simili da raccontare?