Sabato 14 Aprile, nell’ambito della manifestazione “Este in fiore”, presso i giardini del castello della cittadina padovana, si è tenuto un incontro con la dottoressa Cristina Borghi, la quale ha illustrato alcune tesi contenute nel suo libro “Un giardino per star bene” (ed.URRA).
Davanti ad un pubblico attento ed interessato, l’autrice ha sostenuto l’esistenza di una relazione piuttosto stretta fra ambiente e salute dovuta alla capacità del primo di suscitare sensazioni, emozioni e pensieri positivi che possono influenzare una serie di parametri fisiologici: dal livello di alcuni ormoni all’attività del sistema immunitario, dalla pressione sanguigna alla frequenza cardiaca.
Grazie anche alle numerose fotografie di piante e fiori mostrate dalla Borghi, è risultato evidente il riferimento ad un’estetica del contesto naturale, non meno importante – per il benessere psico-fisico degli individui – dei ritrovati tecnologici della scienza medica, farmaci compresi.
Una delle tesi suggestive formulate dalla relatrice è che la natura ci aiuta nei processi di guarigione anche attraverso la semplice presenza di suoi componenti come le piante e i fiori che si possono coltivare in un giardino.
Abbiamo in seguito cercato la dottoressa Borghi per approfondire alcuni aspetti per noi particolarmente interessanti. Le abbiamo chiesto se a suo parere ci sia un cambiamento culturale, in cui sia coinvolta anche la classe medica, relativo al superamento di quella separazione fra mente e corpo che, da alcuni secoli, caratterizza la scienza medica in Occidente. Ci ha risposto che, trattandosi di fenomeni complessi, i cambiamenti culturali “si realizzano solo se c’è una forte motivazione al cambiamento che parte dalla base, in questo caso dal paziente” e tuttavia, nonostante il cambiamento non sembri essere gradito da parte di una cultura medica parcellizzata e farmaco-centrica, la dottoressa afferma di non essere pessimista a riguardo “perché reputo che il malato, oggi, stia acquisendo sempre maggiore consapevolezza”.
L’elemento centrale della sua visione ruota attorno non tanto alla piacevolezza di un ambiente quanto alla capacità insopprimibile della natura di sopravvivere anche dove la presenza umana è più ingombrante. Ci dice infatti: “Tutti i paesaggi, a mio avviso, hanno effetto positivo, anche quelli più violati e violentati dall’uomo (e non è il caso di quello veneto). Anche i luoghi più cementificati e più devastati soggiacciono infatti ad una legge ferrea della natura: il verde s’insinua, cresce e continua il suo corso anche dove se ne lasciano tracce limitate, anche dove si tagliano o si potano selvaggiamente gli alberi… Certo, paesaggi pressoché incontaminati, come le colline toscane o i boschi e i prati dell’Alto Adige, poco devastati dall’uomo, infondono una sensazione di pace e di positività immediata”.
Per l’autrice è prima di tutto importante l’incontro, inteso tra uomo e paesaggio, tra cultura e natura, tra l’individuo e il suo ambiente e, parlando del giardino, sottolinea il suo essere il risultato dell’azione congiunta di persone e natura. In merito al “giardino terapeutico”, poi, mette in evidenza l’importanza di un intervento umano che sappia assecondare la natura senza forzarla, cancellarne il carattere, governandola senza sovrapporsi ad essa. In altre parole, è imparare a rispettarla come insieme di alterità che ci permette di averne beneficio. E questo vale anche per il nostro essere nel mondo in senso ampio.
La peculiarità del giardino è che esso si offre come quella parte del nostro ambiente con la quale è possibile stringere una sorta di concreto e personale patto di cura. Ci spiega: “Prendersi cura del giardino aiuta a sviluppare, senza ombra di dubbio, doti di empatia significative, indispensabili per prendersi cura delle persone. L’abitudine ad accudire e ad amare diventa quindi un normale stile di vita di cui tutti abbiamo bisogno e che, oggi, rappresenta una necessità impellente”.
Vi proponiamo, per concludere, quanto la dottoressa ci ha raccontato sulle origini di questa sua predilezione del giardino come “cura”:
“Il giardino mi ha affascinato sin da piccola, quando tentavo di far crescere patate e piselli in un metro quadro scarso di un grande giardino in montagna. Da adulta, scappavo da Milano appena possibile per ritemprarmi facendo giardinaggio. Allora non avevo ancora focalizzato gli aspetti benèfici del giardino…. Oserei dire che per caso sono stata coinvolta, dopo tanti anni di ricerca nell’industria farmaceutica, dalla Facoltà di Agraria di Milano che cercava appunto un medico che spiegasse, in un corso di perfezionamento post-laurea, ad agronomi e architetti del paesaggio le ragioni scientifiche del potere curativo del giardino. Ho letto e studiato testi di sociologia, psicologia ambientale, filosofia e neurologia, articoli pubblicato sulle riviste scientifiche delle scienze sociali e ambientali: tutte queste letture attente mi hanno convinta che stare in giardino, occuparsi del giardino fa bene alla salute.
I miei colleghi che fanno il medico servendosi ancora dell’esame obiettivo (che quindi non demandano tutto al “responso” degli esami strumentali) e che ascoltano il malato non hanno dubbi che stare in giardino faccia parte di quelle abitudini di vita virtuose che contribuiscono a farci stare bene e a prevenire le malattie da civiltà; spesso anche loro hanno un giardino da curare e quindi ne hanno esperienza diretta. Purtroppo sono molti ancora gli scettici o, peggio, gli indifferenti: convinti che solo quello che può essere dimostrato con metodi scientifici rigorosi funzioni”. (A.A.)
Anche un geranio guarisce
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