Tra le diverse storie di relazioni di cura, di assistenza e di sostegno nelle quali ci siamo imbattuti ci è sembrata significativa quella fra Cecilia e Lorèn. Proviamo a raccontarla.
Cecilia Fort è una trentaduenne veneziana che vive a Mestre e lavora a Mogliano Veneto. E’ nata con una forma congenita di glaucoma, una grave malattia degli occhi, contro la quale, fin da piccolissima, ha ingaggiato una lotta durissima e senza quartiere. Nella sua battaglia contro quello che lei stessa definisce il “nemico”, ha trovato i principali alleati nei suoi genitori che, al prezzo di enormi sacrifici, l’hanno portata prima in Svizzera e poi in Austria seguendo lo specialista che ha tentato di salvarle la vista. Durante questi anni di alternanza fra lotta con la malattia e tregue mai troppo lunghe, Cecilia, già ipovedente, si sforza di condurre una vita come tutte le sue coetanee: studia, esce con le amiche, va alle feste, incontra i primi “ filarini”. A scuola non sempre trova persone che compiano gesti semplici per renderle la vita meno difficile, come ad esempio fare una fotocopia ingrandita del testo di greco da tradurre, ma Cecilia ha una forza di volontà non comune ed ottiene ottimi risultati scolastici fino alla laurea conseguita con la lode. Il suo desiderio è quello di avere una vita il più possibile simile a quella di coloro che la circondano e per realizzarlo si applica con dedizione totale.
Però il nemico, la malattia, non riposa mai e dopo quasi trent’anni di lotta e sacrifici inimmaginabili, Cecilia deve dichiararsi vinta: perde la vista. Tuttavia non rimane annientata. Dopo un comprensibile periodo di sconforto per la distruzione di tutto ciò per cui aveva così strenuamente lottato, capisce che il primo passo per uscire dalla trappola della depressione è l’accettazione della sua nuova condizione di non vedente. Per lei è stato come cominciare una nuova vita, mettendosi alle spalle il passato e guardando in avanti con il coraggio e la determinazione di sempre.
Abituata da sempre a cavarsela da sola, o quasi, aveva già appreso l’uso del bastone bianco, lo strumento che molti ciechi utilizzano per potersi orientare nei luoghi pubblici. Certamente utile, ha però un effetto indesiderato: tiene a distanza le persone per strada. Spiega Cecilia: “ il bastone bianco è un simbolo dell’handicap, è come se tu dicessi a tutti: non ci vedo ma voglio essere indipendente..”. In effetti, per una sorta di collaborazione passiva, quando s’incontra una persona che avanza con il bastone bianco spesso si fa silenzio e si lascia strada pensando che, altrimenti, si possa intralciarla o distrarla. Questo comportamento se da un lato agevola gli spostamenti del non vedente, dall’altro lo isola in una sorta di “bolla” sociale, cioè egli avverte la presenza di altre persone intorno a sè ma si sente al tempo stesso solo, isolato perché nessuno gli parla o interagisce con lui.
A Cecilia, che ha un carattere aperto e socievole, questo inconveniente, causato dall’uso del bastone, pesava parecchio ma per fortuna le cose sono cambiate da quando ha conosciuto Lorèn che le è stata presentata da un’associazione padovana che si occupa di trovare supporto e compagnia alle persone non vedenti. Lei e Cecilia convivono ormai da diversi mesi e il loro rapporto si sta costruendo giorno dopo giorno. L’una aiuta l’altra in una combinazione nella quale, a volte, risulta difficile distinguere chi aiuta l’altra. Una provvede con il suo lavoro a procurare il denaro necessario per vivere, il lavoro dell’altra consente di raggiungere i luoghi dove poterlo fare. Una aiuta ad evitare i pericoli della vita quotidiana, l’altra a vivere la stessa in un ambiente confortevole.
Quando escono assieme, forse perchè Lorèn ispira un’istintiva simpatia, vengono spesso avvicinate da altre persone, incuriosite dall’evidente feeling della coppia e forse perché Lorèn non appartiene alla specie umana ma è una splendida femmina di Labrador. Succede adesso che in molti si avvicinano, fanno domande su Lorèn, chiedono di poterla accarezzare e Cecilia, con il consueto garbo, deve avvisarli che questo può rappresentare un problema per Lorèn perchè mentre sta “lavorando” è molto concentrata ed ogni distrazione le costa un ulteriore sforzo, mentre quando non sta svolgendo il suo compito è ben lieta di ricevere carezze e coccole, come tutti i suoi simili.
A parte questi piccoli inconvenienti, che comunque danno a Cecilia l’opportunità di far conoscere a più persone l’atteggiamento più idoneo verso un cane-guida, la presenza di Lorèn ha comportato per Cecilia un notevole cambiamento nelle situazioni di socialità, riscontrando una maggiore disponibilità degli altri a relazionarsi con lei. Inoltre, avere costantemente al proprio fianco qualcuno cui poter rivolgere la parola, aiuta Cecilia a superare l’imbarazzo dei piccoli intoppi quotidiani come, ad esempio, le succede quando deve attraversare i cosiddetti “tornelli” per recarsi in ufficio. A volte Cecilia impiega qualche secondo prima di individuare il lato dove è collocato il lettore del “badge” perciò le viene spontaneo dissimulare l’impaccio rivolgendosi all’amica quadrupede con qualche frase del tipo: “ oggi Lorèn siamo proprio distratte..” o cose così. Proprio come capita a molti di noi quando, dopo aver compiuto qualche azione maldestra in pubblico, sentiamo il bisogno di rivolgerci a noi stessi con una giustificazione o un rimprovero.
Ovviamente, come tutte le relazioni, anche la loro non è priva di problemi e incomprensioni. Ci racconta Cecilia che, soprattutto all’inizio, Lorèn l’aiutava in maniera un po’ “meccanica”, eseguendo le istruzioni impartitele dagli addestratori della Scuola veneta per Cani Guida senza molta partecipazione, in un modo che si potrebbe definire professionale ma impersonale. Poi all’improvviso qualcosa è scattato. Cecilia dice che è stato come se di colpo Lorén avesse preso consapevolezza del proprio ruolo e del compito che le era affidato, dell’importanza del suo lavoro per l’incolumità e la salute della sua amica Cecilia ed ha cominciato a muoversi e comportarsi con un’attenzione e delicatezza inedite.
Come abbiamo detto, una convivenza così promiscua ha i suoi inconvenienti, però presenta anche momenti di solidarietà e reciproco sostegno come in una delle prime esperienze condivise: il primo viaggio affrontato assieme da Padova alla casa dei genitori di Cecilia, nel Veneziano.
Spesso il racconto di un viaggio è utilizzato dagli scrittori come metafora della sfida con l’ignoto; ecco, nel racconto di Cecilia si percepisce la sua sfida ad un mondo pensato e costruito per chi non ha problemi fisici. Raggiungere la fermata di un autobus urbano, salire sul mezzo pubblico e poi discenderne, individuare la biglietteria di una caotica stazione ferroviaria, prendere il treno e così via, rappresentano una sequenza di azioni e gesti che per un vedente sono talmente scontati da non essere nemmeno percepiti e che, invece, per un non vedente sono ciascuno una sfida che può portare al fallimento del viaggio. Con reciproco impegno – impegno è una parola che ricorre molto spesso nella conversazione con Cecilia – esse giungono alla meta dove, finalmente, la tensione di Cecilia si può sciogliere in un pianto liberatorio.
Questo viaggio è stato uno degli esempi che la nostra interlocutrice ci ha portato per raccontare il suo rapporto con Lorèn e le reciproche abilità che mettono in campo: da una parte la capacità organizzativa di Cecilia – sviluppata e affinata dalle necessità incontrate negli anni -, la sua perseveranza e la sua pazienza, dall’altra la capacità di Lorèn non solo di vedere ma, soprattutto, di saper essere “empatica”, cioè di saper comprendere l’esigenza pur senza condividerla.
In altre parole, Lorèn si “mette nei panni” di Cecilia e, benché non abbia bisogno per sé di seguire un certo percorso o evitarne un altro, lo fa perché capisce le difficoltà dell’amica umana. O anche i suoi desideri: Lorèn adotta un’adeguata andatura per permettere a Cecilia di camminare con le amate scarpe con i tacchi alti. Solo una visione riduttiva e retorica può definire questi animali “gli occhi” dei non vedenti; infatti Cecilia ci ha confermato di non considerare Lorèn una protesi ma un altro essere vivente che condivide la sua vita, con i relativi momenti felici e non, in una relazione la cui definizione non può essere che una sola parola: simbiosi.
Abbiamo appreso diverse cose dalla storia che ci ha raccontato Cecilia: che a volte diamo per scontato che le persone cieche per strada non vogliano essere “disturbate”, quando invece potrebbero gradire molto sentirsi partecipi della vita che si svolge intorno a loro; che è meglio, se un non vedente è accompagnato da un cane-guida, evitare le carezze verso quest’ultimo perché è molto concentrato sul suo lavoro e le manifestazioni d’affetto possono disturbarlo, mettendo a rischio anche la sicurezza della persona accompagnata. Infine abbiamo capito che in una relazione di assistenza, al di là di quali siano i soggetti interessati, ciò che conta non è solo la professionalità o l’attenzione che si pone nelle azioni ma soprattutto la capacità di “entrare nei panni” di chi ne ha bisogno.
E così, quando incontreremo, per le strade di Mestre o di qualsiasi altra città, Cecilia e Lorèn le potremo ringraziare per quest’insegnamento di affetto e reciproco aiuto.