Come a volte capita, uno dei nostri post – L’approccio olistico alla cura – ha stuzzicato le corde di una lettrice che ha familiarità con questi temi e vive in prima persona la dimensione di una continuamente rinnovata esperienza olistica del sé.
Siamo tutti alla ricerca di qualcosa fuori di noi, come spinti da una forza centrifuga (come Bauman, forse, scrive da qualche parte), con grande dispersione di energie e a volte disorientamento. La vita, che è perfetta nella sua intelligenza, porta naturalmente ad una inversione di tendenza quando riusciamo ad arrenderci, stanchi di “non trovare” naturalmente ciò di cui abbiamo bisogno per il ben-essere. Allora la forza diventa orientata al dentro, e ciò è tipico di quelle discipline che hanno esercitato la conoscenza interiore da secoli. Ecco perché la via della conoscenza olistica risulta spesso più scelta nell’ambito della cultura orientale, sciamanica, spirituale.
Essere ed esserci anche in un Corpo diventa una risorsa tangibile e da cui attingere in modo naturale e perfetto per ogni “unicità”. Ma arrestare la mente, la progettualità e il voler essere produttivi e competitivi non è facile; far finta che il nostro ego scompaia a nostro piacimento è altrettanto complicato. Ci sentiamo chiamati continuamente a impersonare ruoli e indossare maschere, atteggiamenti e linguaggi predisposti alla nostra posizione sociale, lasciando spesso poco spazio all’espressione di ciò che siamo veramente, o “essenzialmente“. Ecco perché forse cose come il ritorno all’acqua come elemento essenziale, o a vari tipi di metodi che favoriscono l’ascolto interiore, vengono sempre più abbracciate da persone diverse: dal paziente affetto da patologie, a manager stressati, a persone alla ricerca di un senso per la loro vita, a esploratori di altri mondi o modi possibili. Il concetto-fulcro è che il mezzo per sperimentare questa vita sulla terra è il nostro corpo, il quale ha un vissuto in sé: nei suoi tessuti, nelle sue cellule esso è intriso di memoria. Tutto ciò di cui ha bisogno per funzionare bene è quello di essere usato per le funzioni che ha, ascoltato, e nutrito di energia dedicata.
La mente razionalizza, è adatta all’organizzazione delle risorse in funzione degli obiettivi. Gli organi di senso servono a “sentire” ciò di cui ha bisogno il corpo, e a orientarci nello spazio. Le emozioni ci parlano di noi, di come stiamo percependo le situazioni e gli avvenimenti della vita. Lo spirito è qualcosa di cui si sente parlare e viene associato dalla mente ad ambiti religiosi o filosofici, ma in realtà nella sua etimologia significa soffio, respiro, aria, animatore: come la prima cosa che succede naturalmente alla nascita, e come quella cosa essenziale da fare per vivere. Ebbene, unire queste tre parti di cui siamo fatti risulta la cosa più ragionevole per stare al mondo nel migliore dei modi, la più piacevole, funzionale e naturale.
E’ in questo che la parola “olistico” prende senso. E probabilmente è per questo che ha un senso qualsiasi metodo che abbia come fine ultimo quello di unificare le parti (corpo, mente e spirito), di esercitare l’ascolto del corpo, e ritornare alle parti essenziali. Si tratta del senso di ritrovare se stessi naturalmente, e permettere alla vita di comunicare con noi; lasciare che sia il nostro corpo a funzionare, e a comunicarci ciò di cui ha bisogno, senza interferenze; permettere ad ogni componente – mente, corpo e spirito – di espletare la propria funzione distante dalle esigenze del mercato, dagli edonismi, o dalle aspettative altrui. (Alessandra Salata)