Malati fuori luogo

Segnaliamo un saggio recente “Malati fuori luogo” (R.Cortina, 2012), di Ivo Quaranta e Mario Ricca, che tratta il tema delle differenze culturali in ambito medico e delle loro ripercussioni nel rapporto fra curante ed assistito. Un collaboratore di C&P ne ha fatto una breve recensione.

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Il tema della medicina interculturale non sembra essere molto presente nel dibattito pubblico, sebbene sia di grande attualità. Il volume è  rivolto ad operatori del settore, ma può essere di grande interesse anche a chi non sia addetto ai lavori: da qui l’idea di proporlo ai lettori di questo blog.
L’antropologia in seno alla medicina può fornire una serie di esempi di come sia importante raccogliere dati in un contesto culturale che includa sia il lato biologico, sia quello psicologico, e questo saggio va in questa direzione. Alcuni concetti ben espressi nel testo danno la possibilità di riflettere su aspetti che spesso non teniamo in seria considerazione, ma dei quali  quotidianamente abbiamo occasione di riscontrare la problematicità.  La comunicazione tra medico e paziente ne costituisce un esempio, e il tema di fondo del volume è proprio la relazione tra questi due soggetti in un contesto interculturale, come accade quando si ha un forte intensificarsi del fenomeno migratorio. E’ un fenomeno nel quale il nostro Paese è pienamente coinvolto, con la sua immigrazione caratterizzata da una ampia pluralità di provenienze, riconducibili ad aree geografiche ed etniche anche molto diverse tra loro.
Il saggio sviluppa una forte critica al ruolo dominante della biomedicina e alla burocrazia che invade sia la sanità pubblica che quella privata. Gli Autori auspicano invece un forte interesse per una medicina che sia una pratica morale ed investigativa, che si avvicini in modo chiaro ai problemi delle persone  che soffrono. Con alcuni esempi di storie realmente accadute vengono fissate le basi per un confronto fra i vari modi di raccontare i  sintomi della malattia da parte di  persone  immigrate nel nostro Paese ed evidenzia come la cultura e le pratiche sociali generino modi specifici di comprendere la realtà e di comunicarla.  Sin dall’inizio e in modo netto è stata dichiarata la necessità di un incontro tra antropologia e medicina, specialmente nei paesi a grande capacità immigratoria, sulla base  dell’idea che una relazione senza equivoci tra il curante e il malato sia frutto  soprattutto di una chiara comunicazione, la quale riguarda principalmente la spiegazione dei sintomi e la sofferenza del paziente.
Il titolo, “Malati fuori luogo”, pone l’accento sulle difficoltà comunicative che i migranti  incontrano nei rapporti con le strutture sanitarie italiane, evidenziando come conoscere la mentalità dei pazienti, “il codice di significati legato al loro modo di intendere il rapporto corpo/cura“, sia di importanza vitale per poter attivare strategie e metodi di assistenza sanitaria efficaci. E’ evidente che  ogni tipo di cultura e civiltà esprime una diversa concezione della vita e, inevitabilmente, a queste concezioni sono legate la salute e la malattia, perciò è ad esse che occorre fare riferimento, se si vogliono far interagire i vari sistemi di cura che ne derivano.
L’antropologia si pone insomma come scienza che vuol partecipare al discorso medico, naturalmente differenziandosi da altre discipline come la psicologia, o la sociologia.  Non è solo la dimensione dell’uomo al centro del suo interesse:  in modo evidente essa mette in primo piano il tipo di relazioni sociali che sono la base per una comunicazione comprensibile da ambo le parti, quella del medico e quella del paziente.
Il modello terapeutico del medico occidentale deriva dalle conoscenze acquisite durante la formazione professionale e la pratica medica,  per questo la divisione tra il sapere scientifico e quello frutto dell’ambiente culturale di riferimento si traduce nella difficoltà di relazione con pazienti provenienti da altre terre. L’intrecciarsi di due differenti modelli di espressione rende difficile la relazione comunicativa tra medico e paziente, una relazione in cui si confrontano  linguaggi espressivi e prospettive differenti.
L’antropologia medica si può considerare dunque come una disciplina che rivendica i suoi spazi all’interno del contesto biomedico. Tuttavia,  mentre in antropologia si insiste sulla necessità di riconoscere gli aspetti culturali e sociali, sul versante medico si continua a credere alla necessità di “estendere il concetto di biologico fino a comprendere la personalità e l’identità storica di ogni paziente”. Viene da sé l’idea che il  problema di fondo sia quello di liberarsi di un modello unidirezionale e orientarsi invece verso un modello che consenta  un’integrazione teorica fra le istituzioni e i saperi, all’interno del quale vi siano spazi di dialogo. (Adolfo Zordan)

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