Una dottoressa slow

L’uso del termine inglese slow, lento,  si è negli ultimi  anni sempre più diffuso nel discorso pubblico per connotare positivamente comportamenti, abitudini, atteggiamenti, attività. Dal più famoso slow food di Carlin Petrini, riguardante le abitudini alimentari,  fino ad altre attività come il turismo o la vita cittadina, il termine slow si è affermato in  contrapposizione al suo contrario fast, veloce, come reazione ad una modalità di vita frenetica e spesso convulsa.
Anche nel mondo della medicina è nato un movimento d’opinione che utilizza il termine slow per definire il proprio approccio ai problemi di salute: Slow Medicine per l’appunto. Esso comprende perlopiù medici ma sono presenti anche altre professionalità, tutte legate comunque al mondo della cura.
Abbiamo recentemente saputo che ha aderito a questo movimento un gruppo di medici veneti, in gran parte di Medicina Generale, ed abbiamo pensato di provare a saperne di più. Abbiamo contattato uno di essi, la dottoressa Patrizia Longo, con una lunga esperienza di medico di famiglia nel Padovano, che ha accettato di rispondere alle nostre domande.
Prima di tutto, le abbiamo chiesto quali sono le caratteristiche principali della slow medicine e la dottoressa Longo ci ha risposto che la nascita di questa rete di professionisti si basa sulla convinzione che “ non sempre fare di più è fare meglio”. La slow medicine vuole qualificarsi come una medicina “sobria, rispettosa e giusta”, al cui interno il medico informa, guida e consiglia, affiancando il paziente nelle decisioni e tenendo conto, oltre che delle proprie conoscenze professionali, anche dei desideri e delle possibilità del paziente.
Il concetto che meno cure sia meglio di più cure non ci sembra attualmente prevalente, sia fra i pazienti che fra gli stessi medici ed allora abbiamo chiesto alla dottoressa Longo come lei ritenga che si possa cambiare l’attuale mentalità. L’articolata risposta prende avvio dalla constatazione che l’attuale sistema di cure, oltremodo ipertecnologicizzato, è “ inquinato  da una logica organizzativa efficientista, trasferita acriticamente dal mondo della produzione a quello della cura”. Inoltre al suo interno spesso la percezione della qualità delle cure è diversa per i pazienti, per i curanti o per i dirigenti sanitari. Un punto di partenza per il cambiamento potrebbe essere allora rappresentato dalla rimozione o dal ridimensionamento di alcune asserzioni che sono radicate nel pensiero collettivo come, ad esempio, che tutto ciò che è novità sia “meglio” o che tutte le procedure della pratica clinica siano sicure, oppure che nuove tecnologie più sofisticate risolveranno ogni patologia e che la scoperta di una malattia ancora prima che dia dei sintomi sia sempre utile e, ancora, che i fattori di rischio debbano essere trattati con i farmaci e che per controllare emozioni e stati d’animo sia opportuno ricorrere alle cure mediche. Secondo la dottoressa Patrizia il cambiamento passa soprattutto attraverso un’efficace informazione, prolungata con costanza nel tempo.
La successiva domanda ha riguardato quali aspetti della slow medicine potrebbero essere interessanti rispettivamente per pazienti e medici e la risposta è stata che, sostanzialmente, sono gli stessi per entrambe le categorie e si possono così sintetizzare: ridare valore al tempo impiegato per il colloquio e per la visita del paziente, prescrivere solo cure utili ed appropriate e supportare il tutto con un’adeguata comunicazione.
Ipotizzando di avere di fronte un paziente a cui illustrare le qualità della slow medicine, abbiamo chiesto alla dottoressa quali argomenti avrebbe usato e l’argomentazione più forte da lei utilizzata è che il medico slow  “confeziona una proposta “sartoriale”, cioè personalizzata”, certo tenendo conto delle linee guida e dei progressi tecnologici ma sempre adattandoli alla specifica persona. Con tale atteggiamento la dottoressa Longo assicura di avere ottenuto sempre riscontri positivi, a riprova che esso rende il medico di Medicina generale più affidabile di altri professionisti della salute.
Come ogni cambiamento, presumiamo che anche questo incontri difficoltà ed ostacoli perciò abbiamo chiesto quali potrebbero essere. La risposta ha evidenziato il forte radicamento di una cultura medica “fast ”, concentrata sul “ disease”, ovvero sugli aspetti più “oggettivi” della malattia ma anche il timore, fra i medici di Medicina generale, di essere considerati come praticanti “una medicina che fa poco e quindi di serie B”.
Infine, partendo dalla constatazione che i cittadini per valutare l’efficacia di una cura medica, hanno adottato da tempo i criteri divulgati dal mondo scientifico, abbiamo chiesto  come questi criteri andrebbero eventualmente modificati per comprendere l’approccio della slow medicine.
La dottoressa Longo, dopo aver puntualizzato che così come “slow” non vuol dire “lento e inefficiente” così “fast” non è sempre negativo e che i due metodi, in una cornice di appropriatezza di cure, possono tranquillamente convivere, ritiene che occorra “un’opera educativa paziente e capillare, che tocchi i cittadini e li accompagni a diventare più competenti rispetto  alla loro salute e quindi alle richieste che fanno  al mondo medico”.

Speriamo di poter presto tornare a raccogliere opinioni e testimonianze sulla slow medicine, sia da parte di altri professionisti della salute sia da quella dei pazienti, veri destinatari di questo approccio che, se davvero messo in pratica, rappresenterebbe una piccola rivoluzione nel sempre dibattuto rapporto medico-paziente.

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3 commenti

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3 risposte a “Una dottoressa slow

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  3. Stefano Ivis

    Sono un medico di Medicina generale ed in quanto tale condivido appieno le posizioni della Dott. ssa Longo e del movimento slow medicine, ma i pazienti e gli specialisti cosa ne pensano? Per consolidare operativamente un’assistenza sanitaria sarebbe utile avere un sostegno di massima da parte di tutti i protagonisti della cura.

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