Un medico slow confeziona una proposta di cura “sartoriale” per il suo paziente, ci aveva spiegato la dottoressa Patrizia Longo, come abbiamo riportato nel nostro post sulla Slow Medicine, a cui rimandiamo. Il dottor Stefano Ivis, commentando quel post, si chiedeva quale fosse l’opinione di pazienti e specialisti su questo nuovo approccio della medicina di famiglia. C&P, ha raccolto l’input e, per rispondere almeno in parte alla domanda, ha intanto intervistato alcuni assistiti, in modo informale e senza la pretesa di ricavarne informazioni esaustive. Scusandoci con il nostro gentile lettore per i nostri tempi lunghi di reazione – ma del resto sono quelli che i vari impegni personali ci consentono –, abbiamo sintetizzato in questo post alcuni aspetti delle interviste.
Vi raccontiamo dunque cosa hanno risposto i pazienti alle due domande seguite a una breve illustrazione, da parte dell’intervistatore, delle caratteristiche e degli scopi della Slow Medicine. È stato loro chiesto in primo luogo cosa ne pensavano di questa modalità di rapporto con il medico di famiglia e, in secondo luogo, quale sarebbe stata la loro reazione all’inevitabile allungamento dei tempi di visita e, a volte, anche di attesa.
Alla prima domanda le risposte ottenute, pur partendo da situazioni diverse, sono state unanimemente favorevoli. C’è stato chi, come Nicoletta, ci ha detto che vedrebbe la slow medicine in modo “estremamente positivo, perché quello che mi manca adesso è proprio questo” , chi come Mauro apprezzerebbe soprattutto non dover ricorrere a troppi esami diagnostici “perché non so se poi non facciano alla lunga male anche loro”. Giovanna, vedrebbe in questo tipo di approccio la conferma della fiducia come elemento fondante del rapporto con il medico di famiglia, al quale in ogni caso riconosce una supremazia derivante dalla professionalità. Marta, che comunque crede molto nella prevenzione perseguita attraverso una genuina alimentazione ed una sano stile di vita, ha già un rapporto col proprio medico basato su dialogo e confidenza, racconta, aiutato dal fatto che si conoscono da molto tempo. Infine Francesco è stato quello più interessato a questa novità forse perché la sua relazione con il proprio medico di famiglia è caratterizzata da un’estrema celerità, che va a scapito della possibilità, per lui, di capire meglio come affrontare le situazioni di malattia e di cura.
Riguardo alla domanda su come i nostri interlocutori avrebbero accettato il probabile allungamento dei tempi di visita e, conseguentemente, di attesa, le risposte sono state più varie. Per alcuni come Marta e Mauro non sarebbe un problema, dal momento che già il loro medico impiega parecchio tempo per la visita, suscitando peraltro qualche lamentela fra gli assistiti in attesa. Per altri come Nicoletta e Giovanna la soluzione esiste già negli ambulatori dei propri medici, perché hanno adottato il sistema delle visite su appuntamento e questo da una parte riduce il tempo di attesa e, dall’altra, sottrae il medico dalla “pressione” di una sala d’attesa piena, restituendogli la necessaria tranquillità per dedicarsi meglio alla persona che ha davanti. Come già detto, Francesco sarebbe ben lieto di prolungare i tempi di attesa se a ciò corrispondesse maggiore attenzione e disponibilità al dialogo da parte del suo medico.
Naturalmente i pareri raccolti sono pochi per trarne conclusioni generali, però sono indicativi della presenza di una richiesta di dialogo al mondo della medicina di famiglia, anche se ciò dovesse comportare tempi di visita prolungati. Quel che possiamo dire, in sostanza, è che ogni risposta è in qualche modo portatrice di una visione della cura innanzi tutto come “attenzione”.
In attesa di poter ulteriormente approfondire questo argomento, lanciamo il nostro consueto appello: se qualcuno fra i nostri lettori volesse darci il suo parere o raccontarci una sua esperienza collegata al tema della slow medicine, saremmo ben lieti di pubblicarli.
Per quel po’ che ho potuto leggere al riguardo, idealmente il medico slow, tenendo conto sia delle individualità e sia degli strumenti più avanzati messi a disposizione dalla scienza medica, rivaluta il dialogo col paziente e quindi, necessariamente, amplia, nell’economia del suo lavoro, lo spazio riservato alla visita. E l’idea mi piace molto. Dal mio personale punto di vista, è interessante che in tal modo il rapporto medico-paziente possa produrre una definizione condivisa della situazione. Intendo dire che quel che mi fa avere un cattivo rapporto col mio medico è che le sue competenze e la sua esperienza si calano dall’alto, come a incapsulare una condizione considerata oggettivamente osservabile e univocamente interpretabile. Per me l’ideale sarebbe che la narrazione del paziente accompagnasse e contribuisse ad attribuire significato a… la narrazione del suo corpo. E invece ogni volta che esco dall’ambulatorio è come se quelle poche cose che ho detto fossero state superflue. Anzi, la sensazione, fastidiosissima, è che esse abbiano creato ancora più distanza. Allora quel che mi chiedo è: il dialogo tra medico e paziente non sarà una cosa troppo difficile da attualizzare? non sarà che prima bisognerebbe conoscersi e imparare un minimo a capirsi? e non sarà che la slow medicine è un po’ un’utopia e che noi pazienti chiediamo troppo?
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