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in un reportage di Luigi Tiriticco
Costruito negli anni Trenta del Novecento, l’Ospedale al Mare del Lido divenne presto una struttura di cura di primaria importanza a livello europeo. La posizione – zona San Nicolò – era strategica per la pratica delle cure elioterapiche ed è proprio l’esercizio del termalismo marino che lo rese famoso. Scrive Tello De Marco in un articolo sul blog “Laguna Nostra”, raccontando del periodo d’oro della struttura:
domande e richieste (…) fanno crescere il numero dei lavoratori dell’Ospedale, facendoli arrivare all’incirca alle 1500 unità. I bambini vanno a curarsi tra la sabbia (eccetto per quelli al di sotto di un anno), le donne e gli uomini prendono il sole sulla terrazza dell’attuale Monoblocco, e gli infermieri assieme ai dottori, accompagnano gli stessi ammalati in piacevoli serate al Teatro Marinoni, tra le opere presentate davanti agli affreschi del veneziano Cherubini. Teatro, che sarà una vera fabbrica di congressi e di convegni medici, assistiti da centinaia di professori e primari, che lì si daranno appuntamento, e periodicamente si ritroveranno. La stessa Europa, arriverà in quegli anni a fiutare la struttura sanitaria e la sua eccellenza sul termalismo, tanto che nel tempo, approderanno al Lido diverse centinaia di cittadini europei, che alla fine delle cure si stabilizzeranno in laguna. Siamo giunti tra gli anni cinquanta e sessanta…
A partire dai Settanta, fino al 2003, anno della chiusura totale dell’Ospedale, si assiste progressivamente ad una riduzione delle attività e all’oscuramento del prestigio che il Centro s’era conquistato. A ciò si aggiunge l’escalation del degrado di tutta l’area, in attesa dello scioglimento delle controversie legate ai suoi destini.
C&P vi propone una visita all’ex Ospedale al Mare assieme al fotografo Luigi Tiriticco, perché riteniamo che la fotografia delle aree dismesse sia capace di input potenti, specialmente in quanto esplicita il confine tra due universi concettuali importanti per i temi che trattiamo nel nostro blog. Da una parte, infatti, c’è lo sguardo di chi fotografa, che appartiene all’universo dell’attenzione e della cura, in cui si guarda, s’interpreta, si offre. Dall’altra parte ci sono oggetti lasciati all’azione degradante di agenti vari, dominio dell’incuria e del danneggiamento. Le buone foto di archeologia industriale sanno restituire la drammaticità dello scarto esistente tra il presente di umiliazione degli oggetti e ciò che è passato dispensando segni di grandiosità, opulenza, operosità ancora facilmente rinvenibili in qualche elemento della scena.
Le fotografie delle aree dismesse sanno spesso anche mobilitare le nostre capacità riflessive su questioni più piccole ma fondanti per le nostre vite, per così dire, penetrando una trama fatta anche di storie individuali, che per qualche ragione hanno incrociato e animato quei luoghi. Buona visita!
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