Interessi e paradossi nella Sanità pubblica: un punto di vista.

In un post precedente abbiamo proposto un tema interessante ed impegnativo al tempo stesso: quello delle politiche sanitarie e dei cambiamenti sociali, economici e culturali che le influenzano e che ne sono, a loro volta, influenzati. In particolare l’autore del post, Adolfo, citava  come esempi la legge 38 del 2010 per l’accesso alle cure palliative e il piano sociosanitario veneto con riferimento alla riduzione delle liste d’attesa tramite l’apertura delle strutture anche nelle ore serali e di Domenica. Vi proponiamo ora un punto di vista differente, stavolta di Alessandro, nell’attesa di interventi dai lettori.

tecnologia sanitaria

In merito al tema proposto da Adolfo provo a dare un contributo esprimendo il mio personale punto di vista.
Riguardo alla legge sulle cure palliative, credo si possa affermare che il processo che ha condotto alla sua promulgazione sia frutto della combinazione fra la pressione dell’industria farmaceutica, desiderosa di aprire nuovi “mercati” per i suoi prodotti, ed un cambiamento culturale che ha portato a considerare il dolore come lesivo della dignità umana e, di conseguenza, l’assenza o la riduzione del dolore nel malato come “diritto” da tutelare legislativamente. È difficile stabilire quale dei due fattori abbia inizialmente portato la questione della terapia del dolore fra i temi dell’agenda politica prima e legislativa poi, ma certamente l’uno ha influenzato l’altro, rinforzandosi a vicenda. Il mutato atteggiamento della società verso il tema del dolore, una volta superato un certo stoicismo retrivo e bigotto, ha consentito di predisporre favorevolmente l’opinione pubblica verso la disponibilità di nuove terapie farmacologiche e strumentali che l’industria offriva. Quest’ultima ha messo in campo tutte le strategie di marketing e le risorse economiche di cui dispone per alimentare un “bisogno” che fino a quel momento era circoscritto a poche situazioni, come la fase terminale di alcune patologie oncologiche.
Nel caso del cambiamento delle politiche sanitarie regionali per andare incontro alle esigenze dei cittadini ammalati, estendendo gli orari ed i giorni di apertura degli ambulatori, mi sembra si tratti del consueto approccio efficace solo nel breve periodo ma destinato a diventare nel tempo inefficace e soprattutto inefficiente. Questo perché, come dimostrato da studi come quelli di Ivan Illich, l’aumento dell’offerta di cura, mediante un incremento delle possibilità diagnostiche e terapeutiche, conduce inevitabilmente ad un aumento della “medicalizzazione” della vita quotidiana, con conseguente incremento della domanda di prestazioni sanitarie, indagini, analisi e farmaci. Questa richiesta sarà sempre esorbitante rispetto alle possibilità di qualsiasi sistema sanitario ed è proprio ciò che vogliono coloro che fanno del mercato della salute il proprio business, dal momento che, come insegna l’economia, al crescere della domanda in condizioni di offerta insufficiente, il prezzo sale. E che il pagatore sia nella maggior parte dei casi lo Stato, cioè noi cittadini, poco importa anzi è la garanzia della possibilità di “mangiarci” un po’ tutti: dai manager delle aziende farmaceutiche ai politici, dai medici ambiziosi ai dirigenti sanitari  giù giù fino all’ultimo dei “portatori d’interesse”, come vengono chiamati oggi, fosse anche il fornitore di caffè per i distributori automatici dell’ospedale.
Una delle strategie della politica sanitaria regionale sarebbe quella di eliminare ciò che è inutile per potenziare ulteriormente l’alta specializzazione; se così fosse ci troveremmo di fronte all’ennesimo esempio di come lo sviluppo esasperato delle tecnologie, con la conseguente necessità dell’alta specializzazione degli operatori, porti ad un peggioramento delle condizioni generali per la popolazione a vantaggio di pochi casi. E’ quello che accade, per analogia, nel trasporto ferroviario con la TAV: per consentire a relativamente poche persone di viaggiare ad alta velocità si riducono gli investimenti per la mobilità dei pendolari o addirittura si chiudono tratte ferroviarie non abbastanza remunerative per l’ente gestore. In campo sanitario una politica simile potrebbe significare, ad esempio, la trasformazione di molti piccoli ospedali sparsi sul territorio prima in luoghi per la lungodegenza degli anziani e dopo in  case di riposo, oppure la chiusura di interi reparti ospedalieri in nome della migliore assistenza che può essere fornita nei cosiddetti “centri di eccellenza”, a scapito però degli utenti che devono sobbarcarsi l’onere degli spostamenti. A queste obiezioni in genere viene risposto che si tratta di una razionalizzazione delle risorse, inevitabile in un periodo di crisi economica ma, a parte le considerazioni sugli sprechi e le ruberie, la questione è che, se si punta sull’alta specializzazione e sulle ultime tecnologie, le risorse non saranno mai sufficienti perché sempre più persone vorranno beneficiarne, si formeranno le liste d’attesa, con relative polemiche, gli operatori sanitari chiederanno più risorse e i politici risponderanno elargendo ulteriori finanziamenti. Questi effetti paradossali non sono esclusivi degli ambiti ospedalieri e specialistici: molti medici di base si lamentano di provare una sensazione di frustrante inadeguatezza definita da qualcuno “sindrome del criceto”, ovvero l’impressione di correre sempre più velocemente in un sistema che accelera in maniera indefinita, come il criceto che corre nel cilindro rotante fino allo sfinimento. Ma se il criceto si rendesse conto che è egli stesso a far girare vorticosamente il cilindro? (A.A.)

 

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