recensione del volume LA SANITÀ IN ITALIA di Federico Toth (il Mulino, Bologna, 2014; pp. 168).
Proponiamo questa recensione soprattutto ai non addetti ai lavori che, essendo comunque sempre in qualche misura coinvolti nella dimensione sanitaria del nostro sistema sociale, vorrebbero comprenderne gli elementi di base.
Il volume, pubblicato nella collana Universale Paperbacks de il Mulino, si presenta come utile strumento per una conoscenza generale del nostro sistema sanitario, con un taglio macro-sociale che non impedisce l’affacciarsi qua e là di inviti a tener conto anche di aspetti relativi alla dimensione delle relazioni concrete tra i diversi partecipanti del mondo sanitario, pazienti inclusi.
L’autore, Federico Toth, docente di teoria dell’organizzazione all’Università di Bologna, confeziona circa centocinquanta pagine scorrevoli, ricche di occasioni sia per la comprensione di struttura e funzionamento del Servizio sanitario italiano, sia per una riflessione sulla sua attuale situazione.
Oltre a fornire brevi cenni storici, illustrare la struttura generale, comparare i diversi sistemi regionali, il libro affronta alcune significative questioni relative alle professioni sanitarie, discutendo delle sfide che attualmente il nostro SSN si trova ad affrontare e proponendo infine una valutazione, basata sul confronto con la situazione degli altri paesi industrializzati.
Come illustrato nel primo capitolo, sono tre i modelli organizzativi ai quali sono riconducibili le diverse modalità di finanziare ed erogare i servizi sanitari e l’Italia è uno dei pochi paesi “ad aver sperimentato, nel corso dei decenni, tutti e tre questi modelli” (p.13).
Il primo, dell’assicurazione volontaria, è stato operativo nel nostro Paese fino all’inizio degli anni Quaranta. Esso lascia ai cittadini la scelta se assicurarsi o non assicurarsi contro i rischi di malattia rivolgendosi a una compagnia privata, la quale può disporre di proprio personale sanitario, ma lascia la libertà di rivolgersi anche a strutture e professionisti sanitari da essa indipendenti.
Nel secondo modello invece, quello dell’assicurazione sociale – o obbligatoria – di malattia, adottato dai Quaranta al ’78, alcune categorie di lavoratori sono tenuti per legge a versare contributi direttamente e attraverso il datore di lavoro a una delle casse di malattia, assegnata su base territoriale o categoriale. Anche in questo caso si possono scegliere struttura e professionisti sanitari a cui rivolgersi.
Il terzo modello, il Servizio sanitario nazionale – istituito nel nostro Paese con la legge 883 del 1978 in seguito ad importanti negoziazioni tra le forze politiche, ma frutto anche della radicale riorganizzazione operata negli anni Novanta dopo la crisi politica di Tangentopoli – è finanziato tramite il gettito fiscale, garantisce l’assistenza sanitaria all’intera popolazione e fornisce direttamente gran parte delle prestazioni che garantisce.
Ripercorrendo gli ultimi cento anni della storia del nostro sistema sanitario, l’Autore mostra nel primo capitolo come i tre modelli una volta attuati abbiano rivelato tutti dei limiti, tra i quali l’incapacità di contenimento della spesa, e richiama l’attenzione sul fatto che ogni grande cambiamento organizzativo in campo sanitario ha seguito un momento di forte crisi politica, a suggerire che “il settore sanitario è un intricato groviglio di interessi e di valori radicati nel tessuto sociale e produttivo” (p. 33) e che è necessaria una condizione di crisi generale per un cambiamento radicale che scardini rapporti di forza consolidati.
Il secondo capitolo spiega l’architettura complessiva del sistema, dedicando in primo luogo un paragrafo ai principi che hanno ispirato l’istituzione del Servizio sanitario nazionale: l’universalità della copertura assicurativa, l’uguaglianza di trattamento dei cittadini, la globalità delle prestazioni erogate, l’equità del finanziamento, il controllo democratico da parte dei cittadini, l’unicità di gestione e la proprietà prevalentemente pubblica dei fattori di produzione.
Illustrando quindi i tre livelli organizzativi – nazionale, regionale e locale – si pone in evidenza il ruolo centrale del Ministero della Salute, affiancato da alcuni organi ed enti nazionali. A questo livello sono stabilite le prestazioni che il SSN erogherà a tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale in forma gratuita o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), sono fissati cioè i livelli essenziali di assistenza (Lea), quelli minimi, che possono poi essere integrati autonomamente dai singoli governi regionali. Questi ultimi, assieme alle province autonome, godono della “ampia discrezionalità del programmare e organizzare l’assistenza sanitaria sul proprio territorio” (p. 48) ed è in questo modo che si configurano differenze anche forti tra un Servizio sanitario regionale (Ssr) e l’altro. Sul livello locale si collocano invece le aziende sanitarie locali (Asl) che si suddividono in aziende ospedaliere e aziende territoriali: le prime, che comprendono vari tipi di strutture con statuti differenti, hanno un ruolo di erogazione diretta, mentre le seconde hanno innanzi tutto il compito di garantire tutti i servizi inclusi nei Lea, sia direttamente e sia esternalizzando.
Il capitolo passa poi a descrivere il processo a cascata di finanziamento del Ssn, che parte dalla determinazione dell’ammontare complessivo delle risorse (fondo sanitario nazionale) e, attraverso la ripartizione tra le regioni e quindi tra le aziende sanitarie, arriva a pagare le erogazioni dei servizi.
Il terzo capitolo offre una comparazione tra i diversi sistemi regionali, facendo emergere il grave divario tra Nord e Sud del paese, come accade in molti altri settori di policy. Oltre a questa conclusione, affiancata dalla rilevazione che le regioni le quali si mantengono entro un budget assegnato erogano i servizi migliori, l’Autore evidenzia, attraverso i dati, come la diversa ripartizione della spesa tra ospedale e territorio sia tra le scelte strategiche quella che maggiormente influisce sul rendimento dei servizi: “le regioni che destinano maggiori risorse all’assistenza territoriale e collettiva hanno risultati tendenzialmente migliori rispetto a quelle che investono invece di più sulle cure in regime ospedaliero” (p. 88). Pur non garantendo l’infallibilità di queste graduatorie, basate su particolari indici di qualità dei servizi sanitari, Toth sostiene che in ogni caso esse qualche indicazione sono in grado di fornircela e afferma: “se tutte le graduatorie esprimono giudizi simili, qualcosa sotto, di vero, ci sarà. In caso di necessità sappiamo quindi dove conviene e dove non conviene farsi ricoverare” (p. 87; enfasi mia).
Il quarto capitolo introduce alcune questioni sui lavoratori del sistema sanitario che, secondo dati di Confindustria del 2012, ammontano a un milione duecento novantaduemila persone, includendo sia quanti si occupano di aspetti sanitari, sia quanti si occupano di aspetti tecnici, amministrativi e gestionali (poco più del 14% di questa cifra complessiva è composto da lavoratori del settore privato che non opera in regime di convenzione con il pubblico).
Parlando dei professionisti del Ssn, si affronta l’argomento intramoenia/extramoenia, ovvero della possibilità che i medici dipendenti del Ssn hanno di esercitare la libera professione scegliendo di svolgerla o in strutture e studi privati (extramoenia) o esclusivamente all’interno della struttura pubblica in cui lavorano (intramoenia). Questa scelta riguarda il 95% dei medici i quali vengono ricompensati per l ’esclusività con un premio economico di circa 10.800 euro annui. Essi versano all’Azienda una percentuale degli incassi, per l’utilizzo degli spazi e delle attrezzature. Tuttavia, mentre il loro guadagno medio è stato calcolato pari a circa 17.700 euro l’anno, al Ssn apportano in totale lo 0,2% delle sue entrate complessive.
Illustrando poi il rapporto che i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta hanno con il Ssn, del quale – va precisato – essi non sono dipendenti, configurandosi invece come liberi professionisti convenzionati con il servizio pubblico, remunerati su base capitaria, l’Autore evidenzia l’importanza delle misure adottate al fine di superare la tendenza ad operare in isolamento da parte dei medici di base. Il capitolo affronta anche alcuni aspetti del cambiamento culturale in atto riguardo alla crescita di prestigio anche formale per le altre professionalità sanitarie e, infine, prende in considerazione le conseguenze dell’aumentato numero di cause per medical malpractice.
Il quinto ed ultimo capitolo è dedicato a problemi e soluzioni emergenti, alle sfide a cui il nostro sistema sanitario dovrà andare incontro nel futuro prossimo, a partire da un dubbio fondamentale: si potrà riservare risorse al Servizio sanitario in maniera adeguata alla domanda in crescita?
Varrebbe la pena approfondire l’esame delle conseguenze dei tagli al Servizio sanitario pubblico: crescita della spesa sanitaria pagata direttamente dalle famiglie (cosiddetta out-of-pocket), maggiore ricorso alle compagnie assicuratrici e al fondo sanitario integrativo, successo della sanità low cost, che si sta rapidamente espandendo a tutti i trattamenti ambulatoriali a basso grado di complessità. In ogni caso il capitolo pone l’interessante vecchia e irrisolta questione della mancanza di coordinamento che, “come lamentato sia dai pazienti, sia dagli amministratori è proprio un problema di scarsa integrazione tra le varie parti del sistema: è lasco il coordinamento all’interno degli ospedali, tra un reparto e l’altro; manca spesso un efficace raccordo tra l’ospedale e il territorio; i medici di famiglia sono restii ad associarsi, e faticano a lavorare in rete con le altre figure professionali” (p. 133). Tra le soluzioni che stanno dando, a detta dell’Autore, risultati incoraggianti ci sono l’ospedale per intensità di cura e le case della salute. Nel primo caso si tratta di un modello ospedaliero che punta su un’organizzazione per aree che aggregano i pazienti a seconda della gravità del caso e complessità assistenziale, puntando così a un uso più flessibile del personale e dei posti letto ma anche a una assistenza più integrata e personalizzata. Nel secondo caso invece si tratta di un modello organizzativo delle cure primarie che ambisce ad “aggregare e a far lavorare assieme tutti i professionisti che operano nel territorio” (p. 136), garantendo la continuità assistenziale sull’intero arco della giornata. Numerose case della salute sono già attive in Toscana e in Emilia Romagna, sebbene non a pieno regime.
In conclusione l’autore invita a un atteggiamento meno severo nei confronti di un Ssn che si colloca ai primi posti nel quadro mondiale – pur con tutti i suoi limiti, tra cui, come abbiamo detto, le disparità regionali, la mancata integrazione tra i diversi ambiti del sistema, ma anche gli sprechi e gli episodi di corruzione – e che, come non tutti i paesi industrializzati, può vantare un sistema di assistenza universalistico.
Al di là di questo condivisibile ottimismo, e forse proprio grazie al contagio che il volume è in grado di operare in tal senso, l’esigenza che si fa avanti al temine di questa lettura è quella di avere un ampio, significativo confronto sulle criticità, per far emergere rimedi possibili come frutto della negoziazione tra punti di vista differenti e di interpretazioni anche dal basso.
(Tiziana Piccioni)