di Anais Nin (Neuilly-sur-Seine, 21 febbraio 1903 – Los Angeles, 14 gennaio 1977).
E’ un racconto che fa parte della raccolta Under a glass bell, del 1944, e che in Italia è pubblicato da Bompiani nel volume La voce. Ve ne proponiamo uno stralcio, stavolta senza fare grosse considerazioni. Vi preannunciamo soltanto che in queste pagine dense si racconta dalla prospettiva di una paziente – con lo stile visionario che contraddistingue questa scrittrice – lo scarto tra la propria esperienza e l’esperienza dei sanitari, nonostante esse ruotino attorno al medesimo oggetto. Ne emerge una percezione di distanza: inconciliabile?
Ogni cosa era azzurra, poi nera. Gli strumenti mi rilucevano negli occhi. Coltelli si affilavano nelle mie orecchie. Ghiaccio e silenzio. Poi udii delle voci, dapprima frettolose e incomprensibili. Una cortina si aprì, e le voci ancora ruzzolavano una sull’altra in precipitosa cascata, sfavillando e taglienti per le mie orecchie. Il tavolo rullava dolcemente. Le donne giacevano per aria. Teste. Testa pendevano al posto delle enormi lampade bianche. Il dottore camminava ancora, le lampade si muovevano, le teste si facevano vicine, vicinissime, e le parole arrivavano più lente.
Ridevano, un’infermiera diceva: “Quando ebbi il primo fui tagliata da tutti i lati, e mi dovettero ricucire. Poi ne ebbi un altro, e ancora scucire e ricucire, e poi un altro ancora…”.
L’altra infermiera diceva: “Il mio passò come una busta nella cassetta delle lettere. Ma poi la sacca non voleva venire fuori, fuori, fuori…” perché seguitavano a ripetersi e le lampade a girare e i passi del dottore veloci, sempre più veloci…
“Non ce la fa più. A sei mesi la natura non aiuta. Meglio fare un’altra iniezione”.
Sentii penetrare l’ago. Le lampade erano immobili. Il ghiaccio e l’azzurro che erano tutt’intorno mi entrarono nelle vene. il cuore mi batté selvaggiamente. Le infermiere parlavano: “… e quella della signora C., la settimana scorsa ; chi avrebbe immaginato che fosse troppo piccola, un donnone così, un donnone così…”. Le parole continuavano a girare come in un disco. Parlavano, parlavano, parlavano…
“Tenetemi le gambe, vi prego! Vi supplico, tenetemi le gambe! PER FAVORE TENETEMI LE GAMBE!”.
adoro Anais Nin! 🙂
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