La diversità può continuare…

recensione del volume LE NUVOLE DI PICASSO, di Alberta Basaglia (Feltrinelli, 2014, pp. 96). A cura di Chiara Tosolini.

In un momento che vedeva l’affermazione delle teorie psicoanalitiche e l’emersione di approcci più ampi al “disturbo” mentale (come per esempio quelli di Foucault e della sociologia americana), ma anche la diffusione dei primi psicofarmaci, nel nostro paese andavano maturando alcune importanti esperienze di psichiatria alternativa. Fino ad allora la psichiatria aveva avuto il mandato dell’ordine pubblico e della difesa sociale (la situazione a livello giuridico era espressa dalla Legge n. 36/1904 e dai successivi provvedimenti, fino al d.p.r. 20 mar. ’67, che sospendeva il diritto di voto per gli internati) sulla base di una non precisata nozione di pericolosità per sé e per gli altri. Ora si apriva una fase nuova, di cui diverrà emblema la Legge Basaglia (l.180 del 1978). Essa, tra le altre cose, almeno formalmente restituiva lo status di cittadino al paziente, il quale conservava così i suoi diritti: in primis quello di non essere allontanato dal proprio ambiente di vita. Il provvedimento fu apprezzato e guardato come modello anche sul piano internazionale, come mostrano gli atti della Conferenza di Caracas del 1992 a cura dell’OMS. Quanto è accaduto in seguito (o non è accaduto) è un’altra storia, su cui torneremo, per ora vi proponiamo la lettura di questo libro, di cui è autrice la figlia di Franco Basaglia, come finestra su quegli anni aperta da una speciale, preziosa prospettiva, che Chiara Tosolini ci racconta in questa recensione.

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cover basaglia

“Una bambina nella storia del manicomio liberato” – appropriato sottotitolo del volume –, ormai adulta, che, sollecitata dagli interrogativi dei bambini con cui da anni lavora, ripercorre la sua infanzia e riesce a raccontare con nitidezza e candore gli anni in cui il padre e la madre stavano rivoluzionando il mondo della psichiatria. Ed è grazie a questo racconto che ci é permesso comprendere meglio la grande umanità di Franco Basaglia e di sua moglie, Franca Ongaro, l’effervescenza intellettuale sempre presente nel loro salotto e alla loro tavola, presso cui si sedevano menti curiose, disposte al confronto e desiderose di comprendere, ma anche di cambiare. Nel testo, che inizialmente era stato pensato come libro per ragazzi, ma che, a mano a mano che prendeva forma, assumeva una prospettiva più ampia, fino a giungere ad una visione adulta, l’autrice, Alberta Basaglia, ci guida con un linguaggio semplice, ma efficace, nel mondo spesso oscuro e complesso della psiche. La sua mano di bambina stringe la nostra e, alle volte con dolcezza e altre con quei modi bruschi che caratterizzano i più piccoli e i più anziani, ci fa vivere l’esperienza della diversità, presente fin dalle prime pagine.

L’opera si apre, infatti, con Alberta-bambina che, a causa del trasferimento da Padova a Gorizia, si trova a frequentare una nuova scuola elementare, indossando però il grembiule arancione della scuola montessoriana di provenienza. Unica nota di colore in mezzo ai candidi grembiuli dei compagni. Il grembiule arancione viene allora ad essere quell’evento-metafora, quell’elemento simbolico che attraverserà tutta la narrazione e che aiuta il lettore nella comprensione dei concetti di diverso, di vergogna, di sospetto, che spesso influenzano le nostre vite. Tuttavia, la metafora risulta essere dialettica e sorprendente: le cose possono modificarsi, l’eccezione può integrarsi, può combinarsi con la quotidianità. La realtà si è arricchita, gli altri bambini hanno capito e iniziano a desiderare ciò che non è uguale, ciò che ha la forza di rompere pregiudizi. E così, l’anno seguente, Alberta-bambina si trova circondata da grembiuli rossi, gialli, blu… Il processo si è compiuto, la diversità può continuare a sussistere, non più in solitudine, non più derisa.

Ecco, allora, la storia dei matti di Basaglia, della loro malattia, della prigionia, ma anche della liberazione, dell’accoglienza e della condivisione e, assieme, la vicenda di Franco, padre, marito, ma anche medico, psichiatra disposto ad incontrare pazienti anche in un posto informale, come un tavolino di un bar veneziano. Soprattutto, però, resta la storia di una bambina, divisa tra due città e tra due vite: la casa degli affetti e dei ricordi a Venezia e il Palazzo della Provincia a Gorizia, divenuto dimora dei Basaglia, in cui, tra le antiche presenze di scrivanie e schedari cerca di adattarsi ai cambiamenti, spettatrice attenta e curiosa del reale, come può esserlo una bambina in mezzo ad adulti, una persona tra persone. Alcune volte anche infastidita da quei baci bagnati di donne a cui l’istituzione aveva tolto tutto, “perfino la pelle” (come l’autrice sottolinea con forza), e che cercavano un contatto autentico col mondo attraverso il corpo di una bambina.

I matti. Con loro Alberta è cresciuta ed è diventata la donna, la professionista, che ancor oggi, come allora, riesce a cogliere le emozioni e i pensieri di chi la circonda e parlarne senza pudori, come i bambini parlano tra di loro.

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