Questa storia non precisa il luogo e l’identità dei protagonisti per volere della persona che la racconta.
“Zio can!“: un paziente, ancora senza numero, s’affaccia dentro alla sala d’attesa, dove stiamo ammassati a sudare quasi come porci nel letamaio, data la puzza di malattia, che in realtà forse non c’è, ma che di sicuro c’immaginiamo tutti. Le pale del ventilatore a soffitto, poi, creano correnti d’aria del tutto inutili (ma uno straccio di condizionatore no?!?).
Il paziente senza numero si avvicina al dispenser arancione, uguale identico a quello del casaro qua fuori, pieno zeppo anche lui di clienti – passando ci ho buttato l’occhio -, ma solo oggi, che è venerdì mattina, giorno di mercato.
Il paziente senza numero strappa il talloncino di carta azzurrina e, dunque, si trasforma in paziente numero diciannove. Sbuffa. Si guarda intorno. Forse cerca una sedia libera. Gli lascio il mio posto.
No, non è che sono particolarmente bendisposta oggi, ma ho necessità di uscire fuori a respirare aria migliore, accidenti! Scelgo un pezzo di marciapiede da strusciare per un po’: è meglio non allontanarsi troppo. Ho il mio bel numero a una cifra, non si sa mai che quelli prima di me decidano di andarsene. Eppoi, il riquadro luminoso, dove puoi vedere fino a che numero si è arrivati – cioè a chi tocca -, quasi mai dice la verità. Spesso ci si dimentica di mandarlo avanti. Ci si dimentica?!? Chi si dimentica? Ma lui, no? “Il dottor!”
No no, mica dico che gli succede sempre. Solo quelle volte che – lo capisci subito – è un po’ rimbecillito. Sarà perché ha una vita fatta di problemi anche lui, come noi altri, come tutti i cristiani, ma gli capita di avere certe giornatine che.. maledici quel momento in cui ti è venuta l’idea di venire dal dottore proprio ‘sto giorno! Sì, perché era meglio non esser venuta, a perder tempo, a far pensieri, a prendersi nervoso. Perché quello lì ti sta davanti come un salame e sembra che neanche ti stia a sentire. Non ti domanda niente, non ti aiuta a raccontare cos’hai. E, qualsiasi cosa tu chieda, ti guarda in un modo che ti fa sentire la prima cretina di sto mondo. In realtà questo capita anche se arrivi a fine giornata, quando ne ha già fatti tanti, di pazienti, è pieno di stress e davvero non ne può più di noi altri.
Però, forse sì, spesso ci veniamo anche per le robe da niente, dal medico. No, io no, no no! Anche perché sono un po’ una fatalista, io. Cioè, se è l’ora è l’ora, penso. Però trovarsi davanti uno che fa il dottore e se ne frega zero se tu pensi che quello gnocchetto che ti è uscito sul braccio può essere un cattivo male, beh, non è certo il massimo. E poi ci si lagna che la gente va in internet a leggersi le informazioni sulle malattie e che va in farmacia a chiedere medicine senza avere la ricetta del medico. Uno fa come può.
Oggi, per esempio, oggi ho questioni importanti su cui interrogarlo. Cioè… riguardano mio figlio, mica me. Perciò sono venuta presto. Per correre il minor rischio possibile di trovarlo stanco e distratto. Ma a stare qua, così, mi vien da pensare che ho sbagliato, che dovevo saltare il passaggio e andare direttamente dallo specialista, costi quel che costi (il punto è, però, che costa, cavolo se costa!). Beh, ormai sono qua comunque.
Saranno passati quindici minuti ormai, e non è uscito nessuno dall’ambulatorio. E’ il caso di rientrare a vedere com’è la situazione. Anche perché, in verità, sarei tra i primissimi. Sono venuta qua ancora prima che l’infermiera tirasse fuori la macchinetta dei numeri. Mi sono dovuta fare pressione da me per riuscire, poi, a imporre il mio ordine d’arrivo ed essere effettivamente la paziente numero cinque, io che queste cose qua proprio non le sopporto. Che stresssss! (c.a.)