L’approccio sistemico alla salute: un punto di vista.

 

Tra alcuni gruppi di operatori sanitari del nostro Paese di recente è in atto un confronto e un dibattito incentrato sul tema della complessità del mondo della salute e dell’ approccio sistemico ad essa. In tale dibattito confluiscono così tanti temi, esperienze, progetti, auspici e speranze che il rischio di confusione e dispersione in troppi rivoli può essere elevato ma la consapevolezza che l’attuale sistema sanitario così com’è non possa reggere per molto, spinge molti di coloro che vi partecipano a dare un proprio contributo, anche a costo di un’eterogeneità di contenuti che va a scapito della chiarezza.

L’approccio sistemico vuole superare la frammentazione dei punti di vista e degli interventi in campo sanitario conseguente all’estrema specializzazione degli operatori che si è verificata negli ultimi anni, puntando a rimettere in connessione gli elementi, sia qualitativi che quantitativi, implicati nei processi diagnostici e terapeutici. Una delle caratteristiche dell’approccio sistemico alla complessità è quella dell’interdisciplinarietà, ossia la provenienza da più mondi culturali e professionali dei contributi offerti.

In linea di principio, i fautori di quest’approccio sono tutti d’accordo nel dire che occorre una stretta collaborazione e reciproco scambio fra le molteplici discipline coinvolte nei processi di cura e di assistenza ai malati, in realtà le difficoltà sono molte e di non facile superamento. Le gelosie dei vari professionisti della salute sono fortemente radicate e poggiano su un vecchio ma sempre valido detto: il sapere è potere. Perciò, oltre alle lotte di potere fra discipline per appropriarsi di specifici settori delle attività terapeutiche, di ricerca o di assistenza, si assiste a quelle all’interno delle professioni che sono espressione di tali discipline e, come se non bastasse, a quelle fra gli specialisti delle singole professioni. Ogni volta che un provvedimento legislativo o le variazioni del mercato della salute vanno ad alterare i rapporti di forza e gli equilibri raggiunti, iniziano i conflitti fra coloro che detengono una quota di potere all’interno del sistema delle cure. Di recente, ad esempio, l’approvazione dei nuovi LEA (livelli essenziali di assistenza) ha scatenato la reazione contraria dei cardiologi che si ritengono espropriati di alcune prestazioni a vantaggio di altri specialisti come Radiologi, Pneumologi, Fisiatri ed altri ancora.

Un’altra delle caratteristiche dell’ approccio sistemico nel campo sanitario è quella dell’ umanizzazione delle cure che consiste nel tener conto, nel percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale, non solo degli aspetti biologici e chimico-fisici che caratterizzano un determinato paziente ma anche di quelli psicologici e sociali che influenzano il modo in cui il paziente definisce ed affronta la situazione di malattia. All’umanizzazione si aggiunge la personalizzazione delle cure che non è soltanto trovare la cura più adatta a quel paziente ma soprattutto tener conto delle sue specificità, anche culturali e sociali, delle sue convinzioni e, finanche, dei suoi pregiudizi. Per alcuni medici, la personalizzazione della cura si spinge fino ad accettare il rifiuto della terapia da parte del paziente, in nome del rispetto della sua autonomia, come raccontato da una dottoressa in un recente incontro a cui chi scrive ha partecipato. La dottoressa  raccontava inoltre nel suo intervento che l’esperienza professionale in una casa di riposo per anziani le ha fatto capire l’importanza per queste persone di mantenere una certa quota di controllo sulle decisioni che le riguardano, come peraltro già nei primi anni Sessanta descriveva il sociologo Erving Goffman parlando degli ospiti di un ospedale psichiatrico.

A parere del sottoscritto, la personalizzazione delle cure più sopra descritta, può rappresentare il punto più critico dell’approccio sistemico in quanto va a mettere in discussione i pilastri su cui poggia la medicina stessa, perlomeno quella del mondo occidentale, ossia l’utilizzo della scienza statistica nelle valutazioni diagnostiche e nella scelta delle opzioni terapeutiche, nonché nella valutazione dei risultati raggiunti. Anche i pazienti sono abituati ad essere “incasellati”, ridotti ad un “caso clinico”, spesso lo auspicano loro stessi perché ciò significa che la loro malattia viene riconosciuta, salvo ribellarsi quando la casistica che li comprende non prevede sviluppi fausti per il decorso della patologia. Occorrerebbe perciò una vera e propria rivoluzione dell’attuale paradigma medico-scientifico per affermarne uno nuovo nel quale i parametri della valutazione della terapia, che è poi il punto centrale per operatori e malati, fossero diversi da quelli attuali.

Tale nuovo paradigma potrebbe, ad esempio, prevedere che il principale obiettivo dell’attività di cura sia il miglioramento della qualità della vita invece che il suo prolungamento in termini temporali. Al posto della specializzazione parcellizzante degli operatori potrebbe subentrare una visione più ampia, comprendente i vari aspetti della vita del malato ed anche i risultati delle attività sanitarie dovrebbero essere valutati ad un livello più generale di quello strettamente individuale. Inoltre, il rapporto fra gli operatori sanitari ed i pazienti trarrebbe grande vantaggio dall’abbandono di obiettivi irraggiungibili a vantaggio di altri più a portata di mano ma non per questo meno importanti.  In un simile quadro, infine, la tematica dell’appropriatezza terapeutica, cioè del necessario equilibrio fra le risorse impiegate ed il risultato ottenibile, perderebbe molto della sua attuale carica dirompente nel rapporto fra medico e paziente. Oggi infatti sono sempre più frequenti le situazioni di conflitto fra il paziente da una parte che chiede vengano utilizzate per il suo problema tutte le risorse tecnologiche disponibili, di cui spesso è venuto a conoscenza tramite i mass-media, e il medico dall’altra che è continuamente invitato dai burocrati a tenere sotto controllo la spesa sanitaria.

Le spinte e la tendenza ad un sempre più esasperato individualismo in tutti gli ambiti della vita quotidiana non inducono il sottoscritto a grande ottimismo sulla possibilità di ribaltare l’attuale paradigma sanitario ma il tentativo per farlo merita tutto l’interesse di chi non si rassegna allo status quo. (A.A.)

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