di
Giorgio Bert, Andrea Gardini e Silvana Quadrino.
SPERLING & KUPFER, 2013, pp. 280.
Con questa recensione, vorremmo (ri)portare all’attenzione dei nostri lettori non soltanto un saggio interessante e di piacevole lettura ma soprattutto un tema che abbiamo già affrontato nel blog (vedi qui e qui) e di cui continueremo ad occuparci, grazie anche ai vostri input. Intanto in questo post vediamo come si sviluppa quello che è definito il “libro manifesto della rivoluzione slow in medicina” il quale, proponendo una critica dell’attuale stato delle cose, mostra il bisogno e la possibilità di intraprendere un percorso in qualche senso alternativo.
Se dovessi sintetizzare in un aggettivo il libro “Slow Medicine” userei coraggioso. E’ un libro coraggioso perché fin dalle prime pagine definisce gli obiettivi dell’omonima associazione che sono talmente ambiziosi da fare temere l’utopia. Uno di questi è il cambiamento, parola già di per sé impegnativa in Italia, che se riferito al mondo della sanità rasenta la temerarietà. La medicalizzazione della vita quotidiana, il ricorso a farmaci inutili, la crescente conflittualità medico-paziente, l’illegalità e la corruzione sono solo alcuni dei comportamenti diffusi nel nostro Paese che la Slow Medicine punta a modificare, ridurre o contrastare. Per farlo si affida ad un ampio network costituito da professionisti sanitari, cittadini, gruppi ed associazioni che condividono le idee-chiave del movimento che ruotano attorno alla possibilità di una medicina sobria, rispettosa e giusta.
Il libro, scritto da una psicologa pedagogista e da due medici da tempo impegnati su questi temi, parte dall’analisi di alcune asserzioni, talmente radicate nel pensiero comune da essere ormai date per scontate, come quella che il fare di più in medicina aiuti a guarire meglio o quella secondo la quale l’uso delle nuove tecnologie risolverà ogni problema medico. Questi convincimenti fanno parte di quell’approccio che gli Autori chiamano medicina “fast”, basata sull’idea illuministica che il progresso, specie quello in campo medico, rappresenti sempre un fatto positivo, grazie alla disponibilità di nuove terapie, nuove tecnologie diagnostiche, nuovi farmaci. È significativo che molti paragrafi del capitolo dedicato a questo tema abbiano il titolo redatto in forma interrogativa proprio per problematizzare ciò che viene dato per scontato.
Nel libro sono numerosi gli esempi, tutti documentati, di studi che sconfessano una certa fede cieca nell’attuale apparato medico-scientifico. Ne cito solo alcuni: secondo il Clinical Evidence Handbook, prestigiosa fonte per la clinica medica, il 51 per cento di oltre 3000 prestazioni sanitarie recensite sono inutili e il 3 per cento sarebbe addirittura dannoso; nel 2012 la ditta farmaceutica Janssen è stata condannata a pagare una sanzione di 144 milioni di euro per aver commercializzato, in modo ingannevole e fraudolento, un farmaco per disturbi mentali la cui utilità non era stata ancora verificata. Soprattutto il secondo esempio non rappresenta, ahimè, una novità: da anni ormai sono numerosi gli scandali che riguardano l’industria farmaceutica mondiale, però non è così frequente che a riportarlo siano medici o comunque operatori del mondo sanitario. Anche in questo risiede il coraggio a cui facevo riferimento all’inizio.
Il capitolo dedicato alla prevenzione è illuminante su come corrette pratiche mediche possano essere distorte nella direzione della medicalizzazione della vita quotidiana, del definire come situazioni mediche quelle che, in altri tempi o in altri luoghi, non sono considerate patologiche. Spesso la distorsione della corretta prevenzione non è un errore involontario ma è frutto di precise strategie di marketing da parte delle multinazionali della salute. Un esempio sotto gli occhi di tutti: i livelli “normali” di colesterolo nel sangue negli ultimi anni si sono progressivamente abbassati trasformando in malate, o potenzialmente a rischio di malattia, persone che sino al giorno prima erano considerate sane.
Si passa poi, nei capitoli successivi, ad esaminare i campi della diagnosi e della terapia che non sono immuni da analoghi problemi di appropriatezza, accuratezza ed eccesso di utilizzo di farmaci.
Discorso a parte viene dedicato alla comunicazione fra il paziente ed i professionisti della salute, di cui gli Autori evidenziano carenze e confusione che non fanno che amplificare la distanza e le tensioni fra gli interlocutori.
Il libro non si limita ad elencare gli aspetti negativi legati ad una concezione “fast” della medicina ma è soprattutto ricco di proposte che vanno nel senso opposto, ossia verso una medicina che sia “sobria, rispettosa e giusta”, come recita il sottotitolo.
Sobrietà vuol dire evitare lo spreco delle risorse, rivalutare l’ascolto e la visita del paziente, ancorare le aspettative del paziente ad un consapevole realismo e, soprattutto, sfatare il mito del “fare di più uguale fare meglio”.
Il rispetto a cui si fa riferimento non è quello, scontato, sul quale si basa formalmente la relazione fra paziente e medico ma, più ampiamente, è il rispetto per le convinzioni, i valori, i timori e le speranze del paziente, declinato nella capacità di ascolto, nella condivisione e nella negoziazione.
Infine, la Slow Medicine aspira ad una medicina “giusta”, ossia garante di cure appropriate e di facile accesso per tutti e che favorisce lo scambio di informazioni fra i professionisti per superare la frammentazione delle cure. La giustizia della medicina va di pari passo con la sostenibilità del sistema sanitario che, a causa del crescente atteggiamento consumistico, subdolamente indotto da vari soggetti economici, rischia il fallimento.
Gli Autori non mancano di indicare le strade per raggiungere gli obiettivi che il movimento si è posto, pur nella consapevolezza delle grandi difficoltà e degli ostacoli da superare. La consapevolezza è estesa anche al rischio di essere accusati di scarso realismo o cieco utopismo. Per dissipare eventuali dubbi, non solo degli altri, i membri del movimento Slow Medicine, hanno pensato quindi di utilizzare uno strumento come il più conosciuto fra i social network per condividere domande, dubbi, obiezioni, risposte, proposte e speranze, attraverso la costituzione di un gruppo di discussione. Al di là delle varie posizioni emerse nel dibattito mediatico che ne è seguito, di cui viene dato conto nell’ultima parte del volume, è interessante notare la partecipazione e il coinvolgimento che le proposte di Slow Medicine hanno suscitato soprattutto nell’ambiente dei professionisti della salute.
Alla fine della lettura la considerazione che mi viene da fare è che, affinché la “rivoluzione” della Slow Medicine possa realmente cambiare l’attuale sistema delle cure, è auspicabile che altrettanta partecipazione si verifichi fra i cittadini perché, se da un lato è vero che le rivoluzioni partono sempre dalle élite, dall’altro nessuna rivoluzione ha successo senza il coinvolgimento della popolazione. Questo libro sembra proprio andare nella direzione di una più ampia diffusione del dibattito sul nostro sistema sanitario e l’auspicio è che ciò contribuisca alla nascita di un nuovo tipo di relazione fra paziente e curante. (Alessandro Addorisio)